Senza scomodare il solito Writer’s Dream, è opinione diffusa in tutti i blog di scrittura che l’editing costituisca la forca caudina di ogni buon manoscritto. Testi non editati sono adatti se va bene al catalogo di un pod e gli editori che non curino l’editing (non importa che lo promettano o meno) sono necessariamente cani.
Questo il succo di tanti ragionamenti rimpallati da un blog all’altro, con poche o pochissime voci che si librano in difesa di un anacronistico ‘Se lo scritto vale, pubblichiamolo così com’è’.
Proviamo a capirci qualcosa: perché un testo ha bisogno di editing?
In primis e coram populo, l’autore tende a leggersi di fretta perché si conosce e sorvola inconsapevolmente su brutture, ridondanze, ripetizioni e piccoli refusi.
In seconda battuta, quand’anche l’autore fosse tanto in gamba da autocorreggersi in ogni anfratto del proprio testo, un esperto occhio terzo tenderà a snellire e migliorare storie già di per sé valide, avvicinandole all’eccellenza.
In terza analisi, l’intervento dell’editor potrà restituire al testo di valore quella coerenza sintattico-semantica che magari l’autore preso da eccessi di estro ha un po’ frastagliato, inzeppando un ottimo narrato di (odiatissimi) spunti introflessivi, elucubrazioni personali che per qualche arcano motivo ritiene che possano interessare al pubblico e/o improvvisi rallentamenti polpettoneschi.
In simili casi l’editor di qualità serve come il pane e al pari di quanto sbandierato a gran voce dal WD e da migliaia di altri siti, farne a meno significa sopprimere alla nascita il manoscritto.
Il problema vero non sorge in relazione a testi ispirati e fondati, né a potenziali capolavori. Esplode invece su testi di media o mediocre qualità, in massima parte su opere esordienti. Ne so qualcosa anch’io, vi giuro che quanto scriverò adesso l’ho in buona parte appreso a mie spese.
L’opera prima in genere è attaccabile ex se per un centinaio di ottimi motivi, quali a titolo esemplificativo e non esaustivo:
<!--[if !supportLists]-->1. <!--[endif]-->La frenesia dello scrittore-pollo che, persuaso di riuscire a colpire l’immaginario uditorio giudicante, infarcisce i suoi testi di situazioni opinabili (leggi ‘cazzate’);
<!--[if !supportLists]-->2. <!--[endif]-->L’autoesaltazione che talora convince l’autore a ritenersi sciolto dai canoni del genere opzionato, con risibili risultati consequenziali.
<!--[if !supportLists]-->3. <!--[endif]-->Il frequente spregio della grammatica e della sintassi, ritenute orpelli inutili e di scarso ausilio rispetto a un più sciolto linguaggio gergale (non cito nessun autore perché non voglio seccature ma vi basti fare una ricerca a piacere su google per trovare di tutto e di più);
<!--[if !supportLists]-->4. <!--[endif]-->Senza cadere in estremi, il banale ‘non aver nulla da dire’ tipico di molti accaniti lettori che alla prima scrittoria, soli di fronte alla pagina word bianca si perdono… sciorinando insipide brodaglie magari tecnicamente ineccepibili, ma prive di sapore;
<!--[if !supportLists]-->5. <!--[endif]-->L’omaggio alle mode correnti, sicché il neofita a seconda dei casi si cimenterà nell’urban fantasy, nel noir, nel new weird o aggiungere genere di nicchia a piacere… senza avere né talento né fondamenta culturali specifiche.
Io ci scherzo, da buon autore esordiente di mediocre qualità sono parte attiva della legione di cappellatori esordienti e me ne vanto. Per scrivere bene servono poche elementari qualità, alcune apprendibili con sforzo e fatica, altre non trasmissibili. Mi sto riferendo in particolare al talento, la bravura individuale a scrivere storie convincenti.
Se hai fantasia a buttare e sei capace di creare mondi fantastici credibili potrai anche scrivere da cane, perché magari eri uno scolaro disattento e uno studente paraculo, ma il lettore pur dandoti addosso per l'orrenda elaborazione sarà portato a leggerti fino in fondo, perché vorrà scoprire dove accidenti hai cacciato quella storia… di affascinanti dimensioni paraLelle, dove un viscido alieno verde HA andato a colonizzare mondi elettrorepuLIsivi privi d’atmosfera ma capaCie d’ospitare vita a realità inorganica.
Il talento, lo sconosciuto che siti ben più autorevoli di questo identificano nel sense of wonder, ennesimo elemento carente nell’intera produzione italiana esordiente.
Non ho alcuna intenzione di fare il verso a Gamberetta o al Duca, che peraltro sul punto hanno ragione da vendere e si fanno perdonare l’esposizione al solito brutale degli argomenti addotti. Nel mio piccolo dico e dichiaro che la parte di talento scrittorio correlato alla capacità di avvincere il lettore NON SI IMPARA: o la si possiede o ne si è privi. Chi disponga anche solo di un po’ di questo talento potrà con appositi studi, abbondanti e istruttive letture e molto esercizio elevare la sua qualità narrativa.
Chi fin da piccolo pur essendo stato un ottimo scolaro e uno studente di talento scrive come un elenco telefonico non sarà mai uno scrittore degno di questo nome e mi perdonino le scuole di scrittura che sostengono il contrario. Chi nasce tondo non muore quadrato.
La mia deduzione non é una legge scientifica e pertanto può essere bellamente smentita o cagata da ognuno di voi, sia chiaro. Mi sono permesso di partorire questa scoperta dell’acqua calda sulla scorta di una piccola esperienza personale. Quando andavo a scuola nella notte dei tempi ai compiti in classe di italiano mi è capitato di prendere 8 come 4. La prima della classe, una secchiona che attualmente insegna greco a lettere classiche, prendeva 7 e mezzo fisso. L’iper-femminista dall'ascella pezzata prendeva 8 fisso, pur essendo una studentessa appena discreta. Il secondo della classe, un geniazzo odioso che attualmente insegna diritto costituzionale all’università, raramente superava il 7. Tutti gli altri oscillavano tra il 5 e il 6 e mezzo, senza mai sconfinare al di fuori di quella banda. Piatti, lenti, monocordi, sceglievano tutti il tema di letteratura e se disgraziatamente si sforzavano di comporre, optando per la traccia libera, sfornavano densi e pesantissimi zabaioni che innescavano salve di sbadigli. Quanto a noi quattro, definiti dalla prof ‘quelli dotati di stile personale’, ricordo che la lettura in classe dei nostri temi generava attenzione, dibattiti e destava l’attenzione di tutto il branco, malgrado fossimo parte di un’aula notoriamente male amalgamata e inacidita al ph 15.
Non ho detto che noi quattro eravamo scrittori in erba e gli altri 21 no, niente affatto! Semplicemente ho riportato un giudizio, magari peregrino o dettato da fattori esogeni, dichiarato a più riprese dalla mia poco amata professoressa di italiano.
Anni dopo fu il mio turno di insegnare, ed essendo un docente di diritto ed economia assegnai vari compiti in classe ai miei alunni dell’epoca. Diritto ed economia non sono banchi di prova affidabili, la scrittura tecnica con la letteratura c’entra quanto il provolone col cappuccino; ciononostante la disamina di quegli elaborati mi chiarì da subito che:
<!--[if !supportLists]-->- <!--[endif]-->La maggioranza dei miei discenti scriveva da cane;
<!--[if !supportLists]-->- <!--[endif]-->Il percorso scolastico individuale non era un riferimento da assumere in ponderazione, la 26enne laureata in economia proveniente dal classico scriveva con i piedi, mentre il geometra diplomato con 36 di 22 anni utilizzava un italiano perfetto ed equilibrato e attualmente sta scrivendo un romanzo fantasy (e pure bello, accidenti!).
La scrittura viva e avvincente è innata all’individuo, lo ribadisco. Non si apprende a forza di starnuti, si lima e si migliora per tutta la vita, se trascurata giace in quiescenza, se coltivata potrà condurre a risultati editoriali apprezzabili.
Lo stile e la forma al contrario sono frutto di apprendimento continuo e costante, che si scriva in grigio uniforme o in un caleidoscopio non cambia, un’esposizione corretta e una valida scelta dei termini, dei costrutti e della struttura sintattica si apprendono gradualmente con lo studio, l’esercizio, le letture formative. Chi come lo scrivente ha studiato materie tecniche e/o aride (diritto, economia, sociologia e affini) ha avuto modo di costatare quanto simili letture siano distruttive in prospettiva stilistica. Se ci si abitua a ragionare secondo logiche classificatorie o a disperdersi in odiosissimi procedimenti definitori, qualsiasi prodotto narrativo risulterà fatalmente un minestrone indigeribile. Lo studio non letterario è nemico della letteratura, teniamolo sempre a mente, non tutti gli ingegneri saranno capaci di scrivere come Asimov, quanto a noi avvocati… siamo il pasto prediletto della critica più radicale e fondamentalista, che non ci perdona alcuna concessione all’eloquenza forense.
Tirando le somme per poter SOGNARE di diventare scrittori dovremmo:
<!--[if !supportLists]-->- <!--[endif]-->Essere naturalmente predisposti alla narrazione partecipativa;
<!--[if !supportLists]-->- <!--[endif]-->Leggere tanto e bene;
<!--[if !supportLists]-->- <!--[endif]-->Documentarci e studiare;
<!--[if !supportLists]-->- <!--[endif]-->Astrarci dal nostro background professionale extraletterario;
<!--[if !supportLists]-->- <!--[endif]-->Esercitarci e confrontarci con altri utenti, evitando di chiuderci nel nostro stile isolato… altrimenti finiremo col leggerci da soli.
Tutto questo però non basta, la tecnica raffinata e l’aver qualcosa da dire richiedono l’intervento di un losco figuro, del quale avevo accennato in apertura: l’editor.
Chi è e che minchia fa questo fantomatico editor?
Tecnicamente l’editor è un letterato capace di esaminare qualsiasi testo con occhio finissimo e di sforbiciarlo, ricostruirlo, rielaborarlo a tratti, sopprimendo incisi ciofecheschi e sollecitandone altri fruibili, riamalgamendo il testo ‘buono’ fino a elevarlo a ‘ottimale’. Questo in teoria, s’intende.
La pratica purtroppo dice il contrario.
L’editor serve come il pane a qualsiasi editore degno di questo nome, come scritto in apertura, ma assumere un impiegato con queste precipue mansioni ahimè è prassi limitata a parte della grande o medio-grande editoria e i risultati sono purtroppo sotto gli occhi di tutti i lettori di scrittura esordiente. Non mancano lodevoli eccezioni, ma è innegabile una forte tendenza di molti piccoli e medio-piccoli editori all’editing fai-da-te. Non mancano (pessime) sorprese nemmeno fra i grandi, non addito alcun titolo per non avere seccature ma anche in questo caso basterà fare una ricerca casuale su google per trovare quintali di carni da arrosto.
Passi per i testi editi da Il Filo (ne sto digerendo lentamente uno da 600 pagine), dove l’editing è una vaga promessa annacquata in una rusticissima correzione di bozze. Vada anche per quei piccoli editori che lo dicono chiaro e tondo: Noi l’editing non lo facciamo perché non ce lo possiamo permettere, ergo PAGATEVELO DA VOI; è chiaro che i testi non editati per il 99% dei casi saranno ai limiti della pubblicabilità e pertanto smerciabili solo all’entourage dello scrittore.
Quando però ci si ritrova fra le mani un volume costoso e graficamente elegante, magari onorato da un marchio prestigioso, allora un editing raffazzonato e incerto fa onestamente infuriare. Per carità, io sarò sempre il primo a dire che la forma deve precedere la sostanza ma… a tutto c’è un limite.
Il problema non è piccolo, giacché quella dell’editor è una figura professionale chiarissima nelle mansioni da assegnarsi e incertissima nei curricula ricercandi. Un giovane laureato in lettere? E se si, lettere classiche o lettere moderne? Un professore di liceo? Un professore delle scuole medie? Un assistente universitario? Uno scrittore mediamente affermato? Un laureato in scienza delle comunicazione? Un semplice lettore forte autodidatta e gran divoratore di libri? Un giornalista?
Chi è l’editor per antonomasia?
Nessuno.
L’editor è un senza terra, un raro professionista privo di albo od ordine professionale, dal cammino formativo incerto e dal curriculum cangiante.
Bazzicando in rete spuntano come funghi blog di sedicenti associazioni culturali e/o agenzie letterarie quasi sempre reticenti in merito ai titoli vantati, però chiarissimi nell’offerta di servizi di editing, correzione di bozze e addirittura rappresentanza editoriale (si tratta di un contratto atipico derivato dal mandato del quale tratterò in seguito), a tacere della solita abusata ‘consulenza editoriale e redazionale’ alias tutto e nulla. Alla voce ‘prezzi’ eccettuati alcuni siti virtuosi, ricominciano le lacune e le reticenze.
C’è da divertirsi, basta immergersi in una navigatina di mezz’ora per trovare sfoghi di scrittori degni dell’amputazione delle mani, i quali lamentano il pessimo lavoro di questi editorini, non attrezzati per i miracoli e quindi ex abrupto incapaci di rimettere in piedi testi stralunati e impresentabili. Un editor serio rifiuta un file-pastrocchio, un giovane in cerca di soldi l’accetta ed ecco il patatrac. Non mancano anche ambiziosi gagliardetti che recitano ‘Abbiamo fatto pubblicare il sig. (nome sconosciuto) con l’editore (aggiungere nome di editore medio a piacere)’. E chi se ne frega? Chi sei, come lavori, quanto prendi? Queste sono le notizie che interessano all’aspirante scrittore! La realtà invece dice il contrario, la grande editoria l’editing lo cura eccome (salvo eccezioni) ma lo destina ai suoi eletti. La media editoria già centellina tal interventi in favore dei suoi accoliti più graditi, affidando i testi non prediletti a qualche giovane stagista volonteroso ma privo d’esperienza (magari a un avvocatucolo sfigato come me, chi lo sa?). Con la piccola editoria, vero estuario degli scritti esordienti meritevoli, la farsa diviene tragedia e si entra nella terra di nessuno. L’editore con le proprie forze non ce la fa, magari si affida a qualche amico scrittorucolo… l’autore rilegge la bozza editata alla spizzichi e bocconi in questi termini, in un sussulto d’autoconsapevolezza cerca un’agenzia letteraria economica su internet e per un prezzo basso riceverà un lavoro… boh?
Spiace doverlo ammettere ma l’editing di un manoscritto è una fatica immane già quando il testo è coerente e fondato, editare un testo sconnesso e ondivago costituisce un’impresa sovrumana e al confronto il ghost writing pare una passeggiata. L’editor serio chiede il suo giusto compenso, che per questione di mera analisi costi-benefici non potrà essere basso. 300 euro sono il giusto prezzo per la correzione di una bozza, un editing serio ne vale almeno il triplo, perché sull’editing NON SI RISPARMIA. Un editor non serio riceverà il manoscritto ‘buono’ e si limiterà a correggere due cazzatine, aggiungendo o spostando virgole. Di fronte al manoscritto pessimo non alzerà la cornetta per dire ‘qui va riscritto tutto di sana pianta’ ma s’industrierà nell’inscrivere la sfera nel cubo, fallendo. Poi pretenderà il suo piccolo onorario, i 300/400 euro classici richiesti da molte piccole agenzie boletesche.
In entrambi i casi avrete soltanto buttato soldi, il romanzo votato 7 resta da 7, quello da 3 forse ora varrà 4 ma indurrà comunque al vomito tutti i vostri lettori non ipocriti. La colpa di questo circolo vizioso, frequente ai gradini letterari più bassi e in continua espansione non va attribuita a questi piccoli editor fungaroli, che in fondo hanno trovato un sistema perfettamente legale per arrotondare le entrate di casa. No, la colpa è degli scrittori fresconi, che a fronte dei rifiuti piovutigli addosso dalla grande, media e piccola editoria, non valutano il loro scritto per quello che è, ossia una purissima schifezza. Tale marchio d’infamia va condiviso anche con quegli editori medio-piccoli che pur di rimpolpare il proprio catalogo non esitano a pubblicare simili testi, senza necessariamente chiedere contributi, conviti a una simile sciagurata avventura editoriale da un discreto numero di prevendite procacciate dall’aspirante autore.
Bah, ho detto di tutto e di più, io stesso mi cimento in un dilettantesco editing maccheronico senza però chiedere nulla, di ciò vogliate darmi atto, con buona pace degli strilli di alcune agenzie fungarole, indignate dall’eventuale scippo di pollame fresco.
Morale della favola: l’EDITOR NON è UN UOMO MA UN EROE. Il vostro editore non ha i soldi per garantirvelo e volete comunque pubblicare un prodotto valido? Pagate e tanto, rivolgetevi a un agente letterario capace e di chiara fama, non a un burocrate né a vostro zio insegnante di biologia, men che meno dal vostro maestro di scuola. Non avete abbastanza soldi o non ritenete di dovervi pagare l’editing professionale? Aspettate e riscrivete, prima o poi un editore senza pezze al culo noterà il vostro romanzo e nel contratto di edizione includerà sicuramente l’editing del testo. Questa proposta non arriva e volete pubblicare lo stesso? Ok è un desiderio legittimo e nessuno può trattenere l’aspirante esordiente da questo passo quindi nell’ordine:
<!--[if !supportLists]-->- <!--[endif]-->Boicottate le pseudo-agenzie boletesche;
<!--[if !supportLists]-->- <!--[endif]-->Pretendente dall’editore almeno una buona correzione di bozze, a costo di farvela fare da lui in persona (auguri);
<!--[if !supportLists]-->- <!--[endif]-->Prima di rilasciare il visto si stampi rileggete il manoscritto corretto almeno tre volte;
<!--[if !supportLists]-->- <!--[endif]-->Fatelo leggere anche da un estraneo al quale non siete legati da stima né amicizia, se poi gli state sul culo è meglio… e ringraziatelo per tutte le considerazioni offensive e/o negative che farà sul testo; per le offese personali avete la libertà di colpirlo alla nuca non appena si volta, purché abbiate già raggiunto il vostro scopo.
<!--[if !supportLists]-->- <!--[endif]-->Fatto tesoro del commento terzo, potete apporre la fatidica sigla VST.
L’autoediting sta all’editing come la gassosa sta alla grappa, ma almeno avrete la certezza di pubblicare un manoscritto decoroso che non vi macchi il curriculum letterario.
In bocca al lupo!
Edorzar